Antropologia dell'utente Facebook

Antropologia dell’utente Facebook: il neofita, l’esperto, il saggio.


Mia mamma si è iscritta a Facebook l’anno scorso, proprio di questi tempi e non ha lauree. Io ho raggiunto la community nel 2006 e ho qualche pezzo di carta appeso. Mi sono avvicinata a questo social network sotto consiglio di una mia amica polacca conosciuta in Erasmus: “Ma come, non conosci Facebook?”- mi chiese lei incuriosita, sgranando gli occhi. “No, beh, io uso Hi5, Badoo e studiVZ. Sono a posto così” – risposi sicura e ferma con lo stesso tono di una massaia dal macellaio, se le avesse chiesto di aggiungere 50 grammi in più di prosciutto crudo.

Dopo qualche ora anche Emanuela Goldoni era su Facebook.

I miei post agli albori non erano tanto dissimili da quelli di mia mamma: post lamentosi, post di insulti criptici, post di autoelogio, condivisioni di post complottistici, sulle scie chimiche, sul signoraggio, post con “ci rubano il lavoro” e ancora “condividi se hai un cuore”.
Quindi non si tratta di differenze culturali e generazionali. Non c’entra il titolo di studio e nemmeno l’età. Tanti laureati e professionisti si comportano (ancora oggi) come si approccia mia mamma al mezzo: in maniera naive e incantata. “Il mio Facebook lo uso come mi pare. Sono a casa mia e posso scrivere quello che voglio. Se non ti sta bene, ti tolgo dalle amicizie”.

Un classico esempio di post bufala su Facebook
Un classico esempio di post bufala su Facebook

La verità è che io e mia mamma non siamo più amiche su Facebook, proprio perché le ho fatto notare che non andava bene condividere foto di bambini che nemmeno conosce. “Eh, ma io volevo mettere “Mi piace” – mi disse, lei giustificandosi. “No, mamma, hai condiviso. “Io volevo dire che condivido la foto della nipote di zia Carolina”. (111111ààààaùùùçççç! No, mamma, il tasto “condividi” significa che fai tuo il post di qualche altra persona. Non vuol dire necessariamente che tu ne condivida il valore affettivo. Fermati o qualcuno penserà che alimenti la pedofilia. Hai la bacheca piena di foto di bimbi. Io non avrei molto piacere di sapere che la foto di mio figlio è sulla bacheca di chi non conosco. E poi, guarda che Zuckerberg non regala soldi a nessuno. Stai condividendo una bufala, mamma! Te lo dico per il tuo bene!”. Non so se sia stato più ridicola la mia risposta in cui ho cercato per l’ennesima volta di insegnarle la differenza tra “mi piace” e “condividi” o ancora tutta la conversazione in chat. Fatto sta che mia madre si è sentita offesa e dal 31 dicembre 2015 non mi rivolge la parola.

Questo accadimento spiacevole mi ha permesso di maturare una riflessione sull’evoluzione del nostro modo di manifestarci su Facebook, partendo da due considerazioni: i contenuti dei nostri post su Facebook cambiano e il mondo è semplice.

I contenuti dei nostri post su Facebook cambiano.

Il mio modo di approcciarmi alla rete e quindi di palesarmi è diventato più consapevole e meno ingenuo. Se esiste un’evoluzione della modalità di relazionarsi su Facebook, credo proprio sia in atto da quando i primi utenti sono approdati su questa piattaforma. Oggi non mi sognerei mai di scrivere post come: “Mi manchi, tesoro”, “Il politico x deve morire”, “A quelli che mi vogliono male, voglio solo dire che andiamo 2 settimane alle Maldive”.

Questi post erano accettabili nei primi mesi di approccio e di utilizzo al mezzo. Oggi appaiono ridicoli. Il problema è che risultano ridicoli a me e a quelli che nolenti e volenti sono tutto il giorno qui sopra. Chi non lavora in ambito social probabilmente non sa nemmeno di che cosa sto parlando. Ma torniamo a noi.

L’evoluzione di cui parlo consiste proprio nell’acquisire quella sensibilità che ci fa capire che Facebook non è il nostro diario segreto. I contenuti dei nostri post sono un’emanazione del nostro essere molto pervasiva e potente a livello sociale, nella vita reale, di cui spesso non ci rendiamo conto. Ecco perché, chi usa Facebook in maniera consapevole sa che l’evoluzione dell’approccio al mezzo è tutta nei contenuti dei post: questi cambiano in funzione di quello che vogliamo che gli altri percepiscano di noi. La regola vale sia per i post sia per le richieste di amicizia che decidiamo di accettare.

E così, più o meno consciamente costruiamo le nostre nicchie. Non diamo l’amicizia a tutti, ma solo a quelli che sono amici di amici nell’ambito professionale o a quelli che condividono le nostre stesse passioni. Nel mio caso è molto semplice: la mia rete è formata da web marketer e jazzisti.
“Ma come, non mi hai accettato l’amicizia? Che snob che sei”. Già.

Il mondo è semplice.

La seconda considerazione è frutto di un errore di valutazione. Fino a qualche tempo fa, credevo che vi fossero più tipologie di utenti di Facebook: le mamme, le mamme vegane, gli stacanovisti, gli antivaccinisti, gli antispecisti, gli animalari, i gattari, le gattare, i celolunghisti, gli innamorati, gli assatanati, i perbenisti, i politici e qualche altro sottogruppo. Poi mi sono domandata se fosse davvero corretto profilare in maniera così complessa la rete di contatti.

È tutto molto più semplice. La vera discriminante è il grado di consapevolezza. Ci sono coloro che usano Facebook in modo ingenuo e coloro che lo usano in modo consapevole. Non necessariamente chi lo usa in maniera consapevole è un addetto ai lavori. Anzi, spesso noto che sono gli addetti ai lavori a cadere, secondo il mio punto di vista, in quei comportamenti goffi e sprovveduti da inesperto.

Il livello di consapevolezza (o ingenuità a seconda dei punti di vista) mi è servito come parametro per individuare quindi 3 soli gruppi di utenze: il neofita, il social media manager stacanovista (ma volendo si può sostituire social media manager a qualche altra professione affine, vedi SEO specialist) e il saggio.

Il neofita: l’utente egocentrico e compulsivo.

Il Neofita

Alla categoria neofita appartengono sia coloro che lavorano nel web, sia i niubbi.
Il neofita non conosce la differenza tra “mi piace” e “condividi”, condivide inconsciamente bufale (da Il Giomale, Catena Umana, Grande Cocomero, Informare x resistere e così via), foto di figli altrui, foto di bimbi malati, cani decapitati, messaggi sul signoraggio, messaggi a caso sui politici, messaggi sui rimedi “naturali” al “cancro” (l’aloe vera è gettonatissima), messaggi sul potere assoluto dell’omeopatia.
Scrive post ambigui dove non si sa con chi ce l’abbia o lancia messaggi il cui incipit di solito è “A te che mi vuoi male”. (Mah!)
. Quando usa gli hashtag, li usa così: #ciao #amici, che #bello #sapere #che #oggi #ci #vedremo #tutti alla #mia #festa. #nonvedolora, #siamotuttibellissimi.
Solitamente si tratta di un egocentrico. Cerca compassione dal suo entourage. Scrive per apparire. 
Su Facebook dal 2010-2011.

L’esperto: il social media manager stacanovista.

L'EspertoA questa categoria appartengono in realtà tutte quelle figure che satellitano attorno alle piattaforme social e al web in generale: digital marketer, web marketer, community manager, SEO manager, SEO specialist e così via.
Il suo obiettivo è quello di posizionarsi come esperto in qualche cosa e pubblica solo contenuti di lavoro. Solitamente è il primo a scrivere quanto sia stato geniale quel social media manager a rispondere “ironicamente e intelligentemente” ad una crisi su Facebook (Mah! Qualcuno glielo dica che quel social media manager sta facendo un lavoro come un altro). Inoltre il social media manager stacanovista minaccia di levare le amicizie “scomode” da Facebook (lo facesse senza troppo clamore).
Ci tiene a precisare che lavora solo lui (anche nei week end e addirittura il 15 agosto. Mah, qualcuno glielo dica che il 25 dicembre o il 31 dicembre c’è gente che lo passa in ospedale a lavorare. Addirittura).
Non è finita. Il social media manager pubblica mediamente 3 post al giorno in cui fa sapere che ha bevuto una moka da 8, perché nel suo lavoro bisogna stare sempre svegli. E per finire, il vero social media manager stacanovista è quello che va in ufficio anche con la febbre a 37.3 (mah). Alterna selfie in cui è in compagnia di quelli del suo settore a quelli in cui è sul letto o in spiaggia in compagnia dell’ultimo libro scritto dal guru social del momento. Partecipa rigorosamente solo agli eventi di settore. Spamma in privato lasciando il link all’ultimo post che ha scritto, ma non lo accompagna con un messaggio di apertura (basterebbe il sempreverde “Ciao). Tagga a caso chiunque possa essere vagamente interessato a partecipare a un evento che ha creato.
Siamo di fronte ad un narcisista. Cerca continuamente approvazione dal suo entourage. Scrive per apparire. 
Su Facebook dal 2008/2010.


Il saggio: l’utente selettivo ed equilibrato.

Il SaggioA questa categoria appartiene tutto il resto delle persone che fa un uso più che consapevole di Facebook, perché – guarda un po’- conosce la differenza tra cosa rendere pubblico e pubblicare. Parla sia di lavoro che della propria vita, ma non racconta quanto è stato bravo, perché sa che là fuori c’è qualcuno che è stato più bravo di lui, a fare qualsiasi altra cosa. Non ci tiene a far sapere necessariamente la propria opinione su tutto. Non necessariamente manifesta delle posizioni. Se lo fa, è ben conscio che l’opinione (la sua) rimane una opinione. Scrive con ironia graffiante, se si sta lamentando di qualcosa. 
È equilibrato. Non è interessato a far sapere a tutti dove si trovava sabato scorso e con chi.
Potrebbe sembrare snob, perché ignora il 75% dei post scritti dai suoi amici. E pensare che non sta facendo altro che fare quello che una persona sana di mente dovrebbe fare: imparare a scartare e ad usare le proprie energie laddove strettamente necessario.
Scrive per essere. 
Su Facebook dal 2006-2007.

Emanuela Goldoni
Emanuela Goldoni

Ora, che tu sia nella fase neofita o social media manager stacanovista o abbia raggiunto il livello saggio, poco importa, se tua mamma ti ha levato l’amicizia da Facebook.

20 commenti

  1. Mia madre un giorno provò ad accedere a internet dal mio pc chr avevo lasciato aperto. Mi chiamò mentre ero in riunone con un cliente del calibro di Putin (stesso alito e bontá, pure). Mi chiese come fare. Per farle premere il pulsante Start si Windows le dissi premi il pulsante che trovi sul desktop. Mia madre mi chiese cosa fosse un desktop. Le risposi che desktop in inglese vuol dire scrivania ed era quel che vedeva davanti a lei. Lei disse di aver capito. Sentii cliccare un pulsante più volte. Diceva che non succedeva nulla. Le dissi che non poteva essere. Mi rispose che in realtà qualcosa succedeva… si si accendeva e spegneva la lampada da tavolo… ora tu pensi che io potrei mai riuscire a farle aprire un account Facebook? No… credo di no! Ps bella segnalazione d questo blog su Facebook! Nella iniziativa Adotta un Blogger! Ciaoo

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    1. Ciao avvocatolo e grazie! ehehehheeh, conosco bene quel senso di frustrazione. Come se la cava tua mamma con Whatsapp? Sai che ci ho impiegato anni ad avvicinarla agli strumenti digitali? Poi l’anno scorso una mia amica, molto più paziente di me le ha aperto in un colpo solo un account facebook e le ha insegnato a usare Whatsapp…

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      1. Seeeeeee whatsapp… mia mamma quando la chiamo devo far squillare trenta volte prima che capisca come si risponde… e di solito mi attacca in faccia 😀 Brava la tua amica!

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  2. Finalmente!!!! Grazie mi hai risollevato la giornata, se posso aggiungo: poi c’è il social media coso che lavora e basta, e è ben consapevole che ha bisogno di uno psicologo (dato il numero di gente che monitora sui social) ma non se lo può permettere. CIAO

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  3. Io ho l’età delle mamme della maggior parte di voi, giovani nerd esteri, marketer di successo, social media manager, web writer con migliaia di fan & Co. Vivo FB e gli altri social come strumenti, tool di comunicazione da usare. Grazie Jacopo per questo post, un invito a riflettere, ridere, aggiustare il tiro. Brava Emanuela, condivido ora nella comunità di #adotta1blogger di FB, una delle più divertenti che frequento 🙂

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  4. Il rapporto delle mamme con la tecnologia dovrebbe essere studiato scientificamente, e anche a livello sociale i danni sono pochi (vedi la povera Emanuela che non ha più l’amicizia della mamma 😀 ).
    Però c’è un passaggio di questo post che mi colpisce: “Non diamo l’amicizia a tutti, ma solo a quelli che sono amici di amici nell’ambito professionale o a quelli che condividono le nostre stesse passioni. Nel mio caso è molto semplice: la mia rete è formata da web marketer e jazzisti.” – e la mia domanda è perché?
    Fra i tanti suoi difetti e il suo essere un megafono per ego spropositati o in cerca di fama, Facebook è anche uno strumento che permette di avere un’idea di cosa pensa la gente. Un estratto di popolazione. Ho fra i miei contatti colleghi di lavoro, amici del liceo con cui non mi vedo da 10 anni e non sono mai usciti dal paesello, persone conosciute da poco che magari non sembrano avere molto in comune con me ma hanno dei punti di vista interessanti su argomenti che conosco poco.
    Perlomeno, io uso Facebook in questo senso, e non sono d’accordo con l’approccio selettivo “voglio leggere solo ciò che dicono i miei simili”. Non è un modo per chiudersi in se stessi e nella propria visione del mondo? A che serve stare sui social media se alla fine ci approcciamo solo con chi ha i nostri stessi interessi? Dove sta la parte social? Ok, forse sono io che la prendo troppo sul serio…sono l’unica?

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    1. Ciao Giulia, piacere di leggerti! Capisco il tuo punto di vista, ma credo che la necessità di una selezione dipenda strettamente dal fattore tempo (più che dagli interessi). Almeno personalmente, nonostante il mio desiderio di entrare in contatto con persone sempre nuove e cercare quindi un confronto con soggetti diversi, alla fine mi sono reso conto di non avere abbastanza tempo per farlo bene e con tutti. Da qui la necessità di essere selettivi, perlomeno per il sottoscritto.

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      1. Ciao Jacopo 🙂 Non ho la pretesa di dedicare il tempo a ciascuno dei miei contatti Facebook e a interagire con ognuno di loro, ci mancherebbe! Anche a me capita di selezionare i contatti, non è che aggiunga su Facebook chiunque mi capiti di conoscere nella vita reale, anzi. Il mio era un concetto più generale: Facebook mette a disposizione una homepage che raggruppa un chiacchiericcio generale e iper variegato. Avere la possibilità di leggere ogni tanto anche quello che scrivono persone che non rientrano nel mio campo di interessi mi sembra un valore aggiunto.

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    2. Ciao Giulia e grazie per aver preso parte alla discussione. Comprendo bene cosa dici e il rischio della nota filter bubble, fenomeno di cui alcuni come Eli Pariser o il prof. Giovanni Boccia Altieri hanno parlato. (https://www.ted.com/talks/eli_pariser_beware_online_filter_bubbles?language=it). Agli esordi davo veramente l’amicizia come il pane, ma onestamente non ne ho trovato uno di vantaggi. Poi nel 2009, per motivi personali ho deciso di chiudere l’account, che ho riaperto nel 2013, con uno spirito completamente diverso. Mi interessava dare più un taglio professionale alla mia rete. Ora è composta perlopiù da quelle due macrocategorie (anche se qualche “uncategorized” esiste, ma tant’è). E sono contenta così 😉

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  5. Troppo bello, non mi viene in mente altro, scusate sto ancora ridendo per il commento di avvocatolo… comunque è così. Io ho lo stesso problema con il marito… nonostante sia ben più giovane di quanto potrebbe essere mia mamma, ha le stesse capacità on line… però fa certi solitari che te li racconto!!!

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