I blog sono morti, viva i blog.

I blog sono morti, viva i blog.


In questi giorni ho letto in giro per la Rete dell’ennesima discussione intorno alla fine dei blog. Ennesima perché mi ricorda le diatribe tra media che hanno sempre ossessionato gli addetti ai lavori. Oggi infatti sarebbe anacronistico annunciare la fine della radio semplicemente perché esiste la TV, eppure c’è chi lo fece agli esordi del piccolo schermo, dichiarando l’invenzione di Marconi prossima alla fine. Certe conclusioni, anche quando argomentate ed acute, sono frutto di punti di vista parziali legati alla fotografia delle cose in un determinato tempo e pertanto limitati e limitanti, lontane quindi dal descrivere cause e conseguenze di un fenomeno.

I media infatti non vengono soppiantati nel loro evolversi, ma si integrano e si riequilibrano, come vasi comunicanti. Di certo, a seguito del diffondersi della Rete, anche la televisione è cambiata, come l’intero universo mainstream. Lo stesso sta avvenendo con i blog a seguito dell’avvento dei social network e più in generale con l’estendersi dell’idea di social media. Anzi, la sensazione è che questo processo sia ancora agli inizi. La blogosfera ha subito un forte ridimensionamento, sia in termini di centralità nella Rete che di referenzialità e posizionamento, in particolare relativamente a notorietà e quindi ad accessi, pagine viste, ecc dei blog stessi. La “nuova” socialsfera si è dimostrata sicuramente più rapida nella diffusione dei contenuti, soprattutto in forma “pillolare” (status o tweet che siano) ed ha esteso il concetto stesso di viralità che era già embrionale nei blog con ad esempio i commenti o i trackback.

Sempre di più i blog si sono integrati con il social, creando un qualcosa che ad oggi rende difficile distinguerli; più che di una migrazione di autori e contenuti, si è trattato a mio parere di una forte osmosi, probabilmente inevitabile. Ma non si tratta solo di fare un bilancio sullo stato di salute dei blog o delle loro possibili quanto naturali evoluzioni. Più che altro ritengo che bisognerebbe analizzare il nostro modo di porci verso questi mezzi. Personalmente credo che siamo cambiati noi, così come è cambiata la comunicazione pubblicitaria di oggi rispetto ai tempi del Carosello televisivo nostrano. Nel mio piccolo infatti mi sono reso conto di aver disperso molte parole, oltre a quelle che ho pensato e non ho scritto, trascurando maggiormente questo spazio che nel tempo è diventato anch’esso sempre più stretto.

Certo, quando è iniziato tutto questo, parlo del mio primo accesso ad Internet, non c’erano nemmeno i blog; sono successe tante cose ed in fretta, che sono e restano qui dentro come parte integrante della Rete e che a volte sono parte anche dei miei stessi sbagli, della mia vita personale e professionale, della mia formazione, e non per ultimo di me e del mio essere. Avere la possibilità di rileggersi è anche un modo per fare continua autocritica, nel tentativo di migliorarsi. Oggi ad esempio riguardavo le tante pagine scritte, in questo tempo. I post (come gli stessi tweet), qui come altrove, sono come tante briciole più o meno grandi che corrono nella Rete di tutti i giorni, schegge di noi non sempre rappresentative di ciò che siamo o crediamo di essere, di come pensiamo o vogliamo essere percepiti. E forse anche questo in qualche modo ci ha mutuati, quantomeno nella forma.

Dare una qualsivoglia linea editoriale alla propria vita è impossibile. Anche questo insignificante spazio dell’ego di uno sconosciuto è diventato negli anni un collage di momenti, di frasi, di parole, in cui a volte io stesso fatico a riconoscermi. E così ho pensato che forse i social network sono stati una medicina, una cura, per i blogger. Un modo per vaccinarsi dalla tanto dibattuta autoreferenzialità che spesso ha creato tanti personaggi apparenti ma pochi reali professionisti di qualcosa. Credo che il fenomeno social abbia infatti contribuito a ridimensionare le alterazioni che si erano create intorno al mezzo blog (vedi blogstar o blogger di professione di cui si è tanto parlato in passato), e questo è stato indubbiamente un bene.

Le pagine di blogger conosciuti sono diventate luoghi sempre più silenziosi, spesso poveri di commenti e di commentatori o magari vuoti anche di quegli stessi contenuti che avevano reso celebri i loro autori; nel frattempo i social network si sono caratterizzati come posti rumorosi e caotici in cui a tutt’oggi è difficile organizzare debitamente pensieri ed idee in modo adeguatamente approfondito. Quello che infine va detto è che la neobattezzata Statusfera ha reso i contenuti sicuramente più veloci ma allo stesso tempo più leggeri, riducendo gli spazi per approfondirli e digerirli, funzione in cui i blog ancora oggi possono essere protagonisti.

Jacopo Paoletti
JCP.im
Ecco, forse è ancora questo il destino dei blog: costruire un’alternativa possibile ad un’informazione ed una comunicazione dal basso destrutturata e personale, e probabilmente questo è il loro fine da sempre. Ma a questo punto sta a noi tracciarne il percorso, ognuno a suo modo. Magari è solo ciò che abbiamo sempre fatto e che forse abbiamo parzialmente dimenticato, per una sbronza social.

Photo Credit: Christian Schnettelker

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