Green Marketing o Greenwashing: i brand sono davvero eco-friendly?


Mai come in questo periodo storico, la sostenibilità ambientale è un tema imprescindibile per brand e consumatori, sempre più consapevoli che il rispetto dell’ambiente sia una responsabilità condivisa e non solo individuale.

Secondo il sondaggio internazionale The Green Response Survey 2021 pubblicato da Essity, il rapporto tra sostenibilità e consumatori infatti sta cambiando rapidamente.

In Italia – in particolare – il 66% degli intervistati ha dichiarato di condurre uno stile di vita più sostenibile (soprattutto dopo la pandemia) e il 17% va alla ricerca di prodotti facilmente riciclabili.

L’attenzione verso la sostenibilità si riflette soprattutto tra le giovani generazioni, molto sensibili alle tematiche ambientali e sociali.

La sostenibilità – infatti – assume un ruolo rilevante nelle decisioni d’acquisto della Generazione Z, guidate soprattutto dai valori del brand, come autenticità e trasparenza.

Ecco perché sempre più aziende, attraverso campagne di green marketing coinvolgenti, tendono a promuovere la sostenibilità dei loro prodotti o servizi.

Ikea – per esempio – recentemente ha dichiarato il suo impegno nel voler eliminare la plastica da tutti i suoi packaging entro il 2028, scegliendo imballaggi realizzati con materiali riciclati.

Greenwashing: i casi Miko e Adidas

A volte, però, il green marketing tende ad oltrepassare il confine del greenwashing (“ecologismo di facciata”), ovvero l’impiego di dichiarazioni ambientali non verificabili poiché non supportate da riscontri scientifici, con l’obiettivo di attribuire ai brand un’immagine sostenibile non corrispondente alla realtà.

Un vero e proprio atto ingannevole, di cui generalmente – in Italia – si occupa l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

In più occasioni, l’AGCM ha riscontrato diverse pratiche scorrette attuate dai brand, che lasciavano intendere il minore impatto ambientale di un prodotto o di un servizio offerto.

Proprio nel nostro Paese, lo scorso novembre, abbiamo assistito alla prima sentenza di ecologismo di facciata: il Tribunale di Gorizia, infatti, ha accolto il ricorso della società milanese Alcantara contro la comunicazione della società Miko a proposito delle qualità ambientali del prodotto “Dinamica”, descritta come “la prima microfibra al 100% riciclabile”. Affermazioni che l’autorità ha ritenuto non sufficientemente suffragate, causando il ritiro del prodotto dal mercato.

In Europa – invece – l’ultimo caso eclatante di greenwashing ha coinvolto Adidas, accusato dal The Jury de Déontologie Publicitaire (JDP), l’autorità francese di regolamentazione della pubblicità.

Nello specifico, a finire sotto accusa è stata la pubblicità delle scarpe Stan Smith, che – secondo quanto dichiarato dal famoso brand di sportswear – sono realizzate con materiali riciclati al 50%.

In seguito alle diverse segnalazioni dei consumatori, il JDP ha evidenziato la scarsa chiarezza dei messaggi pubblicitari Adidas e l’utilizzo improprio del logo “End plastic waste”, considerato problematico dal momento che la plastica era comunque ancora presente all’interno del prodotto. 

Il greenwashing al Festival di Sanremo

Il greenwashing è stato protagonista anche durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo. Come dimenticare l’affermazione di Cosmo che al termine della propria esibizione con La Rappresentante di Lista ha esclamato “Stop Greenwashing!”.

A Sanremo, anche gli attivisti di Greenpeace – la famosa ONG ambientalista – hanno mosso accuse di greenwashing verso alcuni sponsor.

A salire sul banco degli imputati – in primis – è stato ENI, reo di aver sfruttato la vetrina del Festival per lanciare Plenitude, la nuova realtà aziendale presentata come la svolta sostenibile della compagnia energetica.

Greenpeace – che ha protestato proprio sopra il green carpet ENI – ha accusato il brand di continuare a puntare principalmente su gas e petrolio, combustibili fossili che alimentano il riscaldamento globale.

Nel tentativo di porre un freno al greenwashing, l’ONG sta promuovendo anche la petizione online “Stop alle pubblicità delle aziende inquinanti” con l’obiettivo di indurre la Commissione Europea a discutere una proposta di legge che metta la parole fine su queste operazioni ingannevoli.

Non tutto ciò che è green è sostenibile

Oggi sono molte le aziende che, cavalcando l’onda green, si celano dietro i termini di sostenibilità (ambientale e/o etica) senza però agire concretamente per tutelare l’ambiente e i consumatori.

I brand che desiderano avvicinarsi ai consumatori – soprattutto a quelli più giovani – e comunicare il loro impegno verso la sostenibilità, invece, dovrebbero trasmettere in modo efficace e veritiero il miglioramento ambientale associato al consumo dei loro prodotti o alla fruizione dei servizi.

Una comunicazione responsabile, infatti, mira a educare e coinvolgere il proprio pubblico, facendo emergere le motivazioni che spingono un brand a puntare sulla sostenibilità e diffondendo stili di vita virtuosi alla portata di tutti.

Come per tutte le cose davvero importanti, insomma, bisogna crederci per davvero.

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